Il fondo patrimoniale è il negozio mediante il quale ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo anche per testamento, destinano determinati beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito a far fronte ai bisogni della famiglia.
In tal modo, tali beni formano un patrimonio separato che può essere aggredito solo da quei creditori le cui ragioni di credito siano inerenti e non estranee ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.)
I bisogni della famiglia sono intesi come esigenze di vita dei suoi componenti considerate anche con una certa ampiezza, ricomprendendovi, oltre alle esigenze primarie attinenti alla vita della famiglia (mantenimento, abitazione, educazione della prole e dei componenti il nucleo, cure mediche, ecc.), in conformità con il potere di indirizzo della vita familiare in capo ai coniugi, anche i bisogni relativi allo sviluppo stesso della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa.
Per quanto riguarda la possibilità di alienare beni compresi nel fondo patrimoniale occorre esaminare l’art. 169 c.c. che prevede la necessità del consenso di entrambi i coniugi e, in presenza di figli minori, l’autorizzazione giudiziale, salvo contraria previsione contenuta nell’atto di costituzione del fondo stesso.
Pertanto, nell’atto costitutivo del fondo sarà possibile prevedere di derogare sia al consenso di entrambi i coniugi (in tal caso il bene sarà alienabile dal coniuge che ne abbia la proprietà esclusiva) sia all’autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori o a uno solo dei due elementi.
Di recente la Corte di Cassazione con l’Ordinanza 4 settembre 2019, n. 22069 ha affermato il principio secondo il quale “I figli, quali beneficiari del fondo patrimoniale, sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l’ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo”, anche laddove l’atto costitutivo di detto fondo derogasse – come nel caso affrontato dalla Cassazione – alla necessità di richiedere l’autorizzazione giudiziale per alienare i beni costituiti in fondo. Tale ordinanza, inoltre, riconosce la legittimazione ad agire in capo non solo ai figli minori ma anche ai figli maggiorenni non economicamente autonomi.
Sulla controversa questione dello scioglimento del fondo patrimoniale, disciplinata dall’art. 171 del c.c. si è espressa la Cassazione con l’importante sentenza dell’8 agosto 2014, n. 17811 fissando questi principi:
1. «In mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi»;
2. In presenza di figli minori, poiché la costituzione del fondo «determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori), […] va ravvisata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo», che viene individuata nella «legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo».
In altre parole, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è un contratto che produce effetti non solo per i contraenti (coniuge ed eventualmente terzo costituente), ma anche nei confronti di terzi (figli) e pertanto, come per sciogliere un contratto a favore del terzo occorre il consenso sia dei contraenti originari sia del terzo, così nel caso di scioglimento di fondo patrimoniale, se vi sono dei figli, occorre anche il consenso di costoro.
Qualora si tratti di figli minori, essendo i genitori in conflitto di interessi, occorre che all’atto di scioglimento del fondo patrimoniale intervenga un curatore speciale, opportunamente autorizzato dal giudice tutelare (art. 374 c.c.) e non dal tribunale (art. 375 c.c.), dal momento che la risoluzione del contratto non produce nessun ritrasferimento di diritti ma incide solo sul precedente negozio.
Altri approfondimenti in materia di successioni e atti di famiglia sono disponibili cliccando qui